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DORMIRE... SOGNARE, FORSE... ©2000 by PAOLO ANDREA ZACCHEDDU 20 minuti nel futuro... Fuori dai finestrini anneriti e coperti di graffiti del vagone della metropolitana apparve la scritta, annerita anch’essa, “COLOSSEO”. L’assistente alla cattedra di Protocolli di Comunicazione Andrea Benussi scese dal treno e si avviò verso l’uscita molto lentamente: il desiderio di uscire all’aria aperta non era esattamente impellente. Andrea si fermò pensieroso davanti alla scala mobile che l’avrebbe portato all’uscita: forse aveva smesso di piovere. Forse. Con poca fiducia attivò il collegamento alla Rete attraverso il suo neurochip, ed immediatamente la schermata di login alla Rete si sovrappose al suo campo visivo. Andrea richiese la situazione meteo su Roma, e, con ben poca sorpresa, osservò tristemente le goccioline che si riversavano sul centro di un’Italia virtuale... Era inutile tergiversare. Salì sulle scale mobili, verso l’uscita che gli veniva incontro. Una pioggia nerastra si riversava su una città intristita, formando per terra piccoli canaletti oleosi. Anche i palazzi ormai avevano assunto una sfumatura grigiastra, malata. Andrea tirò su il cappuccio dell’impermeabile e si incamminò rapido verso la facoltà di Ingegneria. Lanciò un’occhiata rapida al Colosseo, assurdamente bianco in mezzo a quella pioggia del colore del petrolio: l’amministrazione aveva trovato più semplice ricoprirlo di uno speciale rivestimento che fare qualcosa riguardo all’inquinamento e, dopotutto, non si poteva far rovinare il simbolo turistico per eccellenza... Con un sospiro Andrea fece gli scalini della facoltà, avvicinandosi all’entrata. Sopra di lui, a mezz’aria, campeggiava un ologramma, che declamava: UNIVERSITA' degli studi “La Sapienza” facoltà di ingegneria e al di sotto il simbolo della facoltà. O almeno, questa avrebbe dovuto essere l’intenzione. L’ologramma sfarfallava sui bordi, rendendo oltremodo fastidioso il doverlo osservare. Si era guastato ormai da mesi, e ancora non si erano decisi a ripararlo. Si diresse velocemente verso il suo ufficio, in un edificio semi deserto. Da quando era cominciata la privatizzazione delle Università glii studenti erano scappati in massa dalla Sapienza, preferendo atenei più piccoli e meglio gestiti, e quelli che erano rimasti di solito rimanevano a seguire le lezioni a casa attraverso la Rete. Soltanto in tempo d’esami tornava l’ombra della folla che ai vecchi tempi assediava la facoltà: era richiesta la presenza reale, e non virtuale, degli studenti in aule appositamente isolate dalla Rete. Così, in teoria, gli studenti dotati di neurochip non avrebbero potuto barare. Andrea si sedette stancamente alla sua scrivania. Doveva essere lì almeno una volta alla settimana, per quegli studenti che teoricamente avrebbero voluto consultarlo di persona. Ovviamente non trovò nessuno studente così eccentrico ad aspettarlo. Era inutile perdere tempo, così attivò il collegamento e continuò la ricerca che stava conducendo in quel periodo. Apparentemente Andrea era seduto immobile, con lo sguardo fisso nel vuoto, e il suo unico segno di vita era lo sbattere ad intervalli regolari delle palpebre, ma dentro la sua mente navigava tra mari di byte, consultando archivi elettronici e costruendo castelli di dati. Improvvisamente apparve un’iconcina raffigurante una cornetta telefonica, che comunicava una richiesta di conversazione. Vi era affiancata la firma elettronica di Luca Penna. Era un vecchio amico dei tempi di quando lottavano per conseguire la laurea, ma a differenza di Andrea, aveva preferito la carriera in una azienda di sviluppo Software. Si tenevano ancora in contatto, più che altro attraverso la Rete. Grato per l’interruzione Andrea aprì una finestra di conversazione. -Ciao Luca! come stai? -Bene bene... ti ringrazio... sei lì in facoltà? -Sì... mi tocca... beato te che non ti devi muovere da casa... -Già... senti, hai saputo? -No, cosa? Luca tardò a rispondere. Andrea cominciò a preoccuparsi. Cos’era che il suo amico non gli voleva dire? -Isabella. Se hai saputo cosa è successo ad Isabella. -No Luca! non so cosa è successo ad Isabella! Vuoi parlare chiaro!?! -Scusa... il fatto è che Isabella (lunga pausa) si è presa la sindrome da rete. Andrea guardò senza capire la finestra di dialogo. Isabella? La Sindrome da Rete? Ci doveva essere un errore da qualche parte in quella frase. -Isabella? Isabella Scalia? Sei sicuro? -Sì, Andrea... mi dispiace... è andata... completamente catatonica... Sullo schermo apparve altro ma Andrea ormai non leggeva più. Isabella.... La campagna romana sfrecciava veloce ai lati della Fiat Elettro Freccia di Andrea. Era riuscito in qualche modo, non sapeva neanche lui come, a farsi dire da Luca dove era stata ricoverata Isabella. Era in una ottima clinica sul lago di Bracciano, la migliore che la benestante famiglia di lei avesse potuto trovare. Ma da quello che Andrea sapeva sulla Sindrome, tra la migliore e la peggiore clinica non c’era poi molta differenza. Quasi non riuscivano a crederci al Dipartimento quando lui aveva chiesto un permesso per uscire prima da lì. Già era richiesta la sua presenza per poche ore la settimana, e se ne voleva anche andare prima!?! Ma Andrea era stato irremovibile: sapeva che altrimenti sarebbe impazzito dovendo aspettare in quell’ ufficio il momento di andare a vederla. E così si trovava lì, sulla Cassia, diretto verso una clinica specializzata in malattie nervose e disturbi psichici.Mise la guida del veicolo in automatico, e approfittò del tempo che mancava all’arrivo alla clinica per collegarsi in rete e saperne di più sulla Sindrome. Si collegò alla prima banca dati medica che trovò, cercando tutto quello che riusciva a trovare sulla Sindrome, e tentando di barcamenarsi in quell’idioma medico specialistico.Il nome completo della Sindrome era Sindrome Catatonica da Sovraccarico di Informazioni, e colpiva circa un possessore di neurochip su due milioni. Non si sapeva se fosse di natura fisiologica o psicologica. Semplicemente un bel giorno il soggetto cominciava a provare sempre meno interesse al mondo reale e a passare sempre più tempo in rete, a navigare in maniera forsennata tra dati anche di nessun interesse, solo per il gusto di farlo. Alla fine lo stesso cervello non reggeva più al flusso di dati, e spegneva tutto quello che non serviva strettamente all’acquisto di informazioni, tra cui i sensi che lo collegavano al mondo reale, e quello che formava la personalità dell’individuo. Alla fine il soggetto diventava una macchina perfetta di raccolta dati, una saetta nel mare dell’informazioni che si aggirava come uno spettro senza riposo. E staccarlo dalla rete era anche peggio. O il soggetto moriva di shock subito, o si lasciava morire dopo con calma.Nessuno era mai guarito dalla Sindrome. Andrea cercò di incamerare quest’ultima informazione, mentre tabelle mediche fluttuavano davanti al lungo nastro grigio della strada. Arrivò finalmente davanti alla clinica, in mezzo ad una stradina che si districava in mezzo ad un enorme prato, in cui si aggiravano nei loro camici bianchi alcuni pazienti, qualche infermiera ed un paio di robot giardinieri, simili ad enormi lumaconi. Andrea vide che un paziente cercava di impedire ad uno dei robot di falciare un pezzo di prato ancora intonso. La povera macchina cercava disperatamente di aggirare l’omino che gli saltellava davanti come se fosse caricato a molla, finché arrivò un’ infermiera che portò via il paziente, cosicché il robot poté finire il suo lavoro. Andrea trovò la scena carica di simbolismo, anche se non sapeva bene quale.La macchina si fermò davanti all’entrata della clinica, dove Andrea scese. Il veicolo andò a cercare un parcheggio, ed Andrea si chiese per un attimo se quell’omino si sarebbe messo a saltellare davanti alla sua automobile per impedirle di trovare un posto dove fermarsi... Il dottore che aveva in cura Isabella fu gentilissimo. Gli spiegò sulla Sindrome quello che in sostanza Andrea sapeva già, e gli disse, con tatto, che ormai il cervello non reagiva più agli stimoli esterni, e quindi il viaggio era stato, tutto sommato, inutile. Andrea, altrettanto gentilmente, insistette per vederla, ed alla fine la ebbe vinta. Nel corridoio che portava alla camera di Isabella il dottore scambiò qualche altra parola con Andrea. -E' una sua amica, signor Benussi? Per un attimo ad Andrea apparve un immagine di alcuni anni prima: lui, sotto un albero a villa Pamphili che baciava Isabella... - Sì, anche se ci siamo persi un po' di vista... -Capisco- erano intanto arrivati davanti alla porta della camera di Isabella- Le consiglio di aspettarsi il peggio. La signorina Scalia non è più quella che lei ricorda. Andrea si preparò al peggio. Immaginò Isabella sdraiata su un letto, con lo sguardo fisso nel vuoto e collegata ad alcuni macchinari di controllo, e l’unico segno di vita sarebbe stato il ritmico abbassarsi e salire del petto...Il dottore aprì la porta, e Andrea si accorse che immaginarsi il peggio non era servito. Era esattamente nella posizione che lui aveva supposto, ma un filino di saliva, che il dottore si affrettò a pulire, scendeva sulla sua guancia. Era bellissima come se la ricordava. Andrea si avvicinò, ma lei non mosse un muscolo. -Ciao Isabella. Sono Andrea. Ti ricordi? Silenzio. -Isabella? Isabella? Silenzio. Andrea si sentì improvvisamente debole, e si dovette sedere su una sedia posta accanto al letto. Quella specie di bambola inanimata era Isabella? Una ragazza così piena di vita, la cui risata argentina rallegrava i bui corridoi dell’Università. Isabella? Per un attimo chiuse gli occhi, per ricordarla come era, e per non vedere quella specie di zombie. Il dottore, comprensivo, gli appoggiò una mano sulla spalla. Andrea da qualche parte trovò la forza di parlare. -Come... come è cominciato? Aveva qualche problema? Il dottore alzò leggermente le spalle. -Per quanto ne sappiamo non c’era nessun problema grave alla base. Da quanto ci hanno detto i suoi colleghi la signorina Scalia era impegnata in una ricerca sui semiconduttori. Ad un certo punto ha cominciato a dedicarle sempre più tempo e ad estraniarsi dal mondo reale fino ad...- con un gesto eloquente indicò la figura sul letto. Il neurochip impiantato sulla tempia di Isabella mandò un bagliore sinistro.Andrea sapeva già la risposta a quello che stava per chiedere al dottore, ma fu più forte di lui: -C’è qualche speranza? Il dottore lo guardò a lungo prima di rispondere. E lo fece con un’ onestà che Andrea credeva essere estranea alla professione medica. -Onestamente al momento no. Forse un giorno sapremo come farle uscire da questo stato, ma al momento il meglio che possiamo fare è nutrirla per via endovenosa, e collegarla a delle macchine per impedire ai suoi muscoli di atrofizzarsi. Ora non esiste più una “Isabella”, esiste solo un’entità che viaggia impazzita per la Rete...Per la Rete... queste ultime parole risuonarono per alcuni istanti nell’aria. Andrea agì d’impulso. Attivò il collegamento per la Rete, e cercò fra le icone che rappresentavano altri milioni di cybernauti come lui l’icona d’Isabella. Cercò di “toccarla”, ma improvvisamente un messaggio dai severi caratteri rosso bordeaux su sfondo giallo apparve davanti a lui. ATTENZIONE PER ORDINE DELLA MAGISTRATURA DI ROMA QUALSIASI CONTATTO CON QUESTO INDIVIDUO ATTRAVERSO LA RETE E' VIETATO ATTENZIONE Andrea cercò in tutti i modi di aggirare quel divieto, ma alla fine dovette arrendersi e tornare sconfitto nel mondo reale, dove trovò il dottore che lo osservava con sguardo leggermente compassionevole. -Ha cercato di contattarla attraverso la Rete, vero? Andrea distolse lo sguardo. -Sì... Il dottore tornò ad osservare la donna distesa sul letto. -Vede, deve sapere che un soggetto affetto da Sindrome, quando è in Rete non c’è più differenza tra informazioni e personalità: è come una specie di tornado che sconvolge tutto. Entrare in contatto in Rete con uno di questi malati è pericolosissimo. C’è uno sconvolgimento a livello emotivo e nervoso incredibile. So di un soggetto che in America ci ha provato e... bé... a quanto mi hanno detto non riesce a tenere in mano una forchetta. Per questo appena c’è un malato di Sindrome scattano i blocchi informatici della magistratura: il soggetto può solo acquisire i dati in Rete in maniera passiva, e gli si impedisce di interagire con altri utenti. O che gli altri utenti provino ad interagire con lui. Andrea annuì, e si alzò per andarsene: -Un’ultima domanda, dottore. -Sì? -Sogna? Il dottore rifletté per un attimo: -Bé, in senso stretto un paziente affetto da sindrome smette anche di dormire, però manifesta una iperattività dell’emisfero destro tipica della fase REM. In un certo senso possiamo dire che sogna sempre. Il dottore lo accompagnò all’uscita. Andrea vide poco più lontano la sua macchina che cercava di raggiungerlo, ma l’omino di prima glielo stava impedendo. Il dottore approfittò di quella pausa inattesa per rivolgere alcune ultime parole ad Andrea. -Posso darle un consiglio, signor Benussi? Andrea continuò ad osservare le evoluzioni dell’omino davanti alla sua Fiat. -Sì? -Non cerchi di darsi delle colpe, o cercare di capire se lei avrebbe potuto impedire in qualche modo quello che è avvenuto. Queste cose accadono, ed è inutile che ne soffra anche lei. Andrea posò lentamente il suo sguardo sul dottore: -Grazie dottore. Cercherò di ricordarmene. L’Elettro Freccia era riuscita a raggirare l’omino, ed aspettava Andrea con la portiera aperta. Strinse la mano al dottore, e, senza dire altre parole, risalì in macchina.Mentre l’automobile sfrecciava verso Roma seguì scrupolosamente il consiglio del dottore. Non rimuginò su quello che avrebbe potuto o non potuto fare. Cominciò a pensare concretamente a quello che avrebbe fatto. Si preparò attentamente a quella che probabilmente sarebbe stata l’incursione in Rete della sua vita. Nel passato di Andrea c’era un piccolo segreto: prima di mettere la testa a posto e divenire un “rispettato” assistente universitario, era stato uno dei più temibili hacker della Rete. Sotto lo pseudonimo di Wicked Penguin, era riuscito a sbaragliare sistemi ritenuti invalicabili. Era penetrato in banche dati militari che avevano fritti cervelli di suoi colleghi un poco più incauti di lui. Fritti in senso letterario. Certi sistemi di difesa ti inseguivano attraverso la Rete, e ti bruciavano allegramente i tuoi neuroni attraverso il neurochip. Rimaneva così un simpatico vegetale. Ma Andrea non si era mai fatto fregare. Era sicuro che su alla Nato gli avrebbero volentieri staccato la testa, se solo avessero scoperto chi era. Poi un bel giorno Penguin si era reso conto che non poteva continuare a giocare impunemente con la morte, e Andrea Benussi aveva cominciato una tranquilla carriera accademica. Circa nello stesso periodo in cui si era lasciato con Isabella... Andrea scacciò via questi pensieri, e continuò la preparazione. Andrea era l’orgoglioso proprietario di un computer, i cui pezzi non erano tutti di provenienza legale e che erano impossibili da trovare sui mercati normali, che avrebbe suscitato l’invidia di molte aziende di medie dimensioni. Caricò sulla macchina l’equivalente informatico dell’armamentario di una corazzata: virus sfonda protezioni, filtri anti-flusso dati, ai falsi bersagli, schermi di invisibilità e tutte quelle simpatiche cosucce che Andrea aveva collezionato nel passare degli anni e che lo avevano più volte aiutato a salvare la vita, più qualcos’altro che si era divertito ad assemblare durante gli anni accademici...Andrea si chiese se quella roba che avrebbe fatto la felicità della NSA americana e dell’ European Computer Control Agency sarebbe stato sufficiente a proteggerlo. Sapeva a cosa andava incontro cercando di entrare in un database militare, ma entrare nella testa di un malato da sindrome di Rete... Be', i matti fanno sempre più paura.Andrea collegò attraverso un cavo ottico il suo neurochip al computer e si sdraio sul suo lettino. Si mise tra i denti un pezzo di gomma: troppa gente cercando di fare la cosa sbagliata in Rete si erano strappate la lingua a morsi in preda alle convulsioni. Si fermò un attimo, riflettendo a quello che stava per fare. Be', a quel punto erano inutili i ripensamenti. Il Pinguino Maledetto sarebbe tornato a nuotare. Connessione. Andrea si ritrovò immediatamente nel familiare universo virtuale della Rete, ma grazie alla potenza del suo computer ed ai suoi programmi di hackeraggio, ora vi si muoveva con una grazia ed abilità impossibili agli altri normali utenti: come un pinguino, appunto, che nuotava agilmente in mezzo a dei cagnolini che cercavano di rimanere a galla. La prima cosa era nascondere le proprie tracce: Andrea non aveva nessuna voglia di avere a che fare con la magistratura romana: creò un falso clone informatico, che avrebbe fatto credere a un controllo che lui si era connesso da un altro punto della Rete: chi avrebbe cercato di seguire a ritroso le sue tracce sarebbe stato convinto che il collegamento era avvenuto da qualche parte tra Australia e il Polo Sud. Si rimise a cercare nella rete l’icona di Isabella e si ritrovò davanti al familiare divieto della magistratura: per qualcuno che era entrato nei computer dell’Agenzia Europea di Difesa quello era uno scherzo. Andrea fece le cose pulite: fece credere al divieto di essere lì per un controllo tecnico autorizzato, e immediatamente il divieto si aprì, come il sipario di un teatro, aprendosi su un vuoto nero, solcato da venature azzurre. Andrea ritoccò il codice del divieto in modo che non si sarebbe ricordato della sua intrusione, tirò l’equivalente virtuale di un profondo respiro e si buttò nell’oscurità che una volta era stata Isabella. Si ritrovò in un mare in tempesta, in mezzo a correnti forsennate di informazioni che si snodavano davanti a lui come serpenti impazziti. Andrea non aveva mai visto nulla del genere in tutta la sua vita. Gli stessi flussi cercavano di travolgerlo. Andrea attivò i filtri per dare un’occhiata a quelle informazioni senza esserne risucchiato: rapporto sui prodotti delle coltivazioni in Cina... caratteristiche di tutte le particelle subatomiche scoperte finora... i risultati del NBA della creazione fino ad oggi... le foto di tutte le quasar conosciute... le teorie sui buchi neri.... tutti i giochi per bambini conosciuti... la lista dei codici di previdenza sociale dei cittadini degli Stati Uniti... Era un guazzabuglio mostruoso di informazioni. Qualsiasi insieme di byte vagamente coerente andava bene al mostro che era diventato Isabella. Un enorme risucchia dati. Era assurdo. Andrea si chiese se in quel caos avrebbe mai potuto fare qualcosa. Improvvisamente i suoi programmi di protezione cominciarono ad urlare. Andrea si guardò intorno, alla ricerca di ciò che li aveva fatti scattare e li vide: delle chimere informatiche, propaggini del mostro, affamate di dati che cercavano incessantemente come squali per portarli a un moloch che non sarebbe mai stato sazio. Avevano visto Andrea, e non gli importava se lui era un essere vivente: erano solo nuovi dati su cui pasteggiare. Andrea aveva un’idea abbastanza precisa di quello che gli sarebbe successo se quelle creature lo avessero acchiappato: le informazioni che rappresentavano Andrea in Rete sarebbero state smembrate, e il contraccolpo avrebbe bruciato il cervello di Andrea nel mondo reale. Ormai lo avevano visto, quindi era inutile attivare lo schermo di invisibilità. Andrea cominciò ad allontanarsi, inseguito dalle tre bestie azzurrine. Aveva fretta e gli scatenò addosso il più potente virus sfonda sistemi che si era portato appresso: il primo mostro esplose in una fiammata azzurra, ma gli altri si limitarono a sgranocchiarsi allegramente il virus. Bene, pensò Andrea, quello che funziona su uno non funziona sugli altri. Imparano in fretta i bastardi. La situazione stava diventando preoccupante. creò un suo clone virtuale su cui si avventò una delle bestie, che dopo alcuni secondi esplose: dentro il clone vi era l’equivalente di una bomba a tempo. Adesso Andrea era a corto di trucchetti, ed era rimasto un ultimo inseguitore. Dovette improvvisare. Mentre fuggiva dalla bestia che stava guadagnando terreno, Andrea scrisse al volo il codice di un programma che avrebbe creato tonnellate di dati fittizi ma coerenti, sperando che il mostro lo trovasse più gradevole di lui stesso. Andrea gli scagliò il codice, e il mastino si fermò a mangiarsi allegramente montagne di dati spazzatura. Visto che Andrea non era più l’oggetto della caccia, poté innalzare lo schermo d’invisibilità, che sperava lo avrebbe difeso da altri pericoli. Si guardò intorno. Lì non poteva fare nulla. Doveva trovare il nucleo di ciò che una volta era stata Isabella. Niente di più facile. Sarebbe bastato seguire quel mostruoso flusso, fino al pozzo finale. Andrea si mise in marcia. Alla fine arrivò. Il nucleo di Isabella era una mostruosa sfera magmatica ribollente, ove i dati entravano, contorcendosi come migliaia di tentacoli impazziti. Sembrava l’incubo di un drogato da realtà virtuale. Andrea si scoraggiò. Bene, sei arrivato fino a qui. E adesso? Provò ad aprire una finestra di collegamento: -Isabella? Isabella? mi senti?!? Isabella! sono Andrea! ti prego! rispondi!!! Isabella!!! Capì che era tutto inutile. Quelle parole erano si e no pochi byte. Come potevano competere con i terabyte di dati che entravano ogni secondo nell’essenza di Elisabetta. Doveva dargli molto di più. Doveva dargli tutto se stesso. Andrea alzò tutti gli schermi e filtri possibili. Intorno a lui si innalzò una sfera perlacea, dopodiché si tuffo nel magma. Caos. Così doveva essere il Caos primigenio, quando l’universo era un insieme di informazioni incoerenti. Bit impazziti volteggiavano, agglomerati di dati si formavano e si disfacevano con clamori azzurrini. Maelström infiniti ribollivano. La pazzia formata da uno e zero.Andrea cominciò a preoccuparsi della tenuta dei suoi scudi. Per il momento reggevano, ma per quanto sarebbero riusciti a mantenere coerente l’insieme di dati che era Andrea? Doveva sbrigarsi. Doveva trovare, se ancora c’era, ciò che di ancora sano vi era nell’essenza di Isabella. Era nascosto da qualche parte, in quell’inferno ribollente. E se qualcuno ce la poteva fare in quell’oceano di follia, quello era lui.Il Pinguino Maledetto cominciò la traversata della sua vita. Alla fine, quando stava cominciando a perdere ogni speranza, la trovò. Era in una zona relativamente tranquilla, una figura stilizzata di Isabella, in posizione fetale. Da essa partivano migliaia di aghi neri, che la collegavano al mostro divora dati. I tratti, appena abbozzati, davano l’idea di una angoscia catatonica.Ok, agiamo! Dottor Benussi, lei cosa consiglia di fare? Isolarla dalla parte malata e poi provare a comunicare? Va bene, proviamo. Andrea si avvicinò alla figura, ed innalzò i suoi schermi anche intorno ad essa. Immediatamente i piccoli aghi si spezzarono, ed si ritrovò nella sfera con lei, che continuava a non dare segni di reazione. -Isabella? Isabella? Ti prego... rispondi... Niente. -Sono io... Andrea... ti prego... Nessuna reazione. Non sapeva che fare, e fra poco la follia là fuori avrebbe distrutto gli schermi. Provò un’ultima carta: creò ripetutamente ambienti virtuali, che ricreavano i momenti felici insieme: all’Università, sotto l’albero a Villa Pamphili, la prima volta, nella camera dei suoi... -Isabella... Isabella... ti ricordi? Tutto inutile. E lo schermo stava crepandosi. Lui si sarebbe sacrificato per niente. Passarono alcuni minuti. Tra poco lo schermo avrebbe ceduto. Andrea capì che per lui era finita. In quel momento capì che c’era un modo, un modo che aveva nascosto anche a se stesso. Ricreò la scena dell’ultima volta che si erano visti. Avevano litigato. Lui metteva il suo lavoro, e la Rete, davanti all’amore per lei. -Se non ti va bene te ne puoi andare!- Le aveva urlato. L’ultima scena impressa nella sua memoria: lui che si ricollegava alla Rete, lei che usciva dalla porta, per non tornare mai più. Andrea capì finalmente cos’era veramente successo: Isabella aveva cercato di distruggersi attraverso l’amante che gli aveva portato via Andrea: la Rete. -Isabella, ascoltami... non farti più del male.... - le crepe aumentarono -... ti prego... possiamo ricominciare... - si sentiva il rumore della marea che cercava di penetrare - è colpa mia... Isabella... perdonami... Isabella... TI AMO!- nessuna reazione. Era tutto inutile. La sfera stava per cedere, e l’unica volta in cui Isabella aveva avuto bisogno di lui, aveva fallito. Una lacrima di pixel si formò sulla guancia virtuale di Andrea e volteggiò per qualche attimo in quel nulla informatico. Alla fine si posò sulla fronte di ciò che era Isabella.Lei aprì gli occhi e, lentamente, posò il suo sguardo su di lui. -A...A...Andrea....- mormorò. In quell’istante la sfera si schiantò con un urlo. Andrea si risvegliò nel mondo reale, nel suo appartamento. Era riuscito incredibilmente a salvarsi. Guardò il suo computer. Era diventato un blocco di plastica fusa. Senti un calore propagarsi dalla sua tempia, dove era il neurochip. Andrea se lo toccò con la mano, dopodiché si guardò le punte delle dita ricoperte dalla polvere della plastica bruciata. Andato anche quello. Non poteva più collegarsi in Rete. Un pensiero saettò nella sua mente: Isabella! Cosa era successo ad Isabella?!? Doveva scoprirlo! Istintivamente provò a collegarsi in Rete al computer della clinica, ma si accorse subito che il suo neurochip era diventato un antiestetico pezzo di plastica fusa. Come fare? Il telefono! Lo usava per parlare con quelle persone che non avevano impiantato il neurochip. Corse all’apparecchio. Ed il numero della clinica? Quando cercava un numero lo cercava in Rete, senza dover tenere degli ingombranti elenchi in casa. Il numero delle informazioni sugli abbonati? E chi lo sapeva. Chiedere ad un vicino? Guardò l’orologio. Le tre di notte. L’unica cosa da fare era correre in Clinica. Scese in strada come un forsennato e salì sulla sua Fiat Elettro Freccia. Dovette attivarla vocalmente, visto che non ci si poteva collegare attraverso Rete. -Destinazione?- Chiese il veicolo. -La Clinica dove siamo stati ieri! Più veloce che puoi!!! -Attenzione. Il superamento dei limiti di velocità è un reato che comporta... -Non me ne importa niente! Parti!!! -Attenzione. Il superamento dei limiti... -Ti prego... è importante... devo rivedere Isabella... Il veicolo partì sgommando senza dire più una parola. Gli amici si vedono nel momento del bisogno. Arrivò prestissimo alla clinica, con tutti gli allarmi di malfunzionamento del veicolo che urlavano. Avevano toccato i 290 chilometri orari, mentre l’Elettro Freccia era certificata per massimo 240. Andrea non riusciva a credere di quello che il veicolo aveva fatto per lui. Tempestò di pugni l’ingresso della clinica, finché una sbalordita infermiera venne ad aprire. Andrea senza neanche guardarla corse verso la camera di Isabella, ma nel corridoio incontro il dottore dallo sguardo stupito che la sorreggeva. Lei stava compiendo alcuni passi, difficilmente, come una bambina, ma quando vide Andrea, con uno sforzo che lasciò di stucco il dottore, si lanciò tra le sue braccia.Senza dire una parola si baciarono, dolcemente, a lungo. Tutto in modo reale.